Contrariamente alla credenza comune, la nostra capacità di sentire i sapori non dipende dalla lingua ma dai neuroni

E’ quanto emerso da uno studio condotto da un team di ricercatori della Columbia University, che ribalta una convinzione ampiamente diffusa, ovvero che sia la lingua a permetterci di distinguere i diversi tipi di sapore che l’uomo è in grado di differenziare: il dolce, il salato, l’amaro, il grasso e il quinto gusto cosiddetto “umami”, tipico di certi sapori della cucina giapponese a base di carne e alghe.

Anche se la lingua gioca certamente un ruolo fondamentale nel processo che ci porta a sentire i gusti dei cibi, grazie alla moltitudine di recettori che inviano segnali al cervello, gli studiosi americani hanno scoperto che è proprio dove hanno sede i neuroni il vero luogo di riconoscimento dei sapori. Il gusto inoltre è anche un fatto genetico, secondo una recente ricerca che ha individuato i geni responsabili delle preferenze alimentari.

Ogni sapore ha i suoi neuroni

L’analisi del team si è concentrata sulle circa 8mila papille gustative presenti sulla lingua di ciascuno di noi. La scoperta sorprendente è che la lingua può identificare i 5 sapori base solo in quanto collegata a cinque diverse aree del cervello in cui sono presenti specifici neuroni deputati a riconoscere i differenti gusti.
Gli scienziati hanno condotto diversi esperimenti sui roditori modificati al fine di rendere fluorescenti i loro neuroni una volta attivati. I topi sono stati quindi nutriti con sostanze chimiche che trasmettevano loro la sensazione del dolce, dell’aspro, dell’amaro; ne è emerso che si attivavano ogni volta differenti aree neuronali del cervello che trasmettono la sensazione del gusto.
Questa ricerca potrebbe fornire importanti indicazioni sulla comprensione e la cura di quei pazienti che soffrono di perdita del gusto, condizione che si verifica soprattutto con l’avanzare dell’età.

“Questi risultati forniscono una via interessante per aiutare a far fronte a questo problema, perché offre una chiara comprensione di come il gusto funzioni”, ha spiegato Charles Zuker, autore dello studio.

 

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