Ansia e paura vengono attivate dal cervello con un interruttore in comune: ora che è stato individuato, si potrà capire come “spegnerlo” per eliminare fobie patologiche

Se la capacità di stare in allerta, fiutare il pericolo e mettere in atto meccanismi di difesa è positiva per l’evoluzione della specie, quando si tende ad anticipare situazioni immaginarie la paura diventa una malattia. Anche se pare che pensare troppo sia sintomo di maggior intelligenza, l’ansia portata all’eccesso è patologica.

Nei casi di panico, spesso generati da traumi che rendono l’individuo incapace di compiere determinate azioni come salire su un aereo o entrare in un ascensore, sarebbe utile quindi poter disattivare questo generatore di ansia. Di recente è stato scoperto che un farmaco per curare il morbo di Parkinson è in grado di eliminare anche le fobie o altri disturbi legati a stress post traumatici. Un’altra innovativa terapia invece combina il sonno con alcuni specifici odori per ridurre la sensazione di paura legata ad alcune fobie.

Pericolo reale o immaginario?

Ad avvertire il cervello del pericolo imminente è una sorta di “telecamera i sicurezza” posta al centro del cervello, chiamata amigdala: il sistema memorizza la situazione di allerta ed avverte i cinque sensi, elaborando possibili reazioni.
In questo processo il cervello è in grado di distinguere se si tratti di un pericolo reale o immaginario, ad esempio è in grado di farci distinguere se un auto in arrivo rischia di investirci o se non rappresenta un rischio per la nostra incolumità.
C’è poi anche un pannello di comando adiacente all’amigdala, chiamato talamo. Insieme all’amigdala, si trovano in un’area della corteccia cerebrale simile a una centrale di comando psico-fisico-emotiva dell’intero organismo.

Leggi anche:  Quanti passi al giorno servono per tenersi in forma? Se sei donna, meno di quanto pensi

I messaggeri chimici di ansia e fobie

A individuare questo circuito nervoso responsabile di ansia e fobie, di cui soffrono 40 milioni di adulti nel mondo, sono due gruppi indipendenti: uno, guidato da Bo Li, del Cold Spring Harbor Laboratory (Cshl) di New York; l’altro, con a capo Gregory Quirk, dell’università di Porto Rico. Entrambi gli studi sono pubblicati su Nature.
Questo circuito, rilevato nei topi, è determinante nell’organizzazione della memoria dei ricordi traumatici.

«In precedenti ricerche – spiega Li – abbiamo scoperto che l’apprendimento della paura e del relativo ricordo sono gestiti dalle cellule nervose nell’amigdala centrale».

In questo passaggio successivo della ricerca gli scienziati hanno scoperto che l’amigdala centrale è governata a sua volta da un gruppo di neuroni che formano il nucleo paraventricolare del talamo (Pvt), area del cervello estremamente sensibile alle sollecitazioni che funge da sensore per la reattività fisica ed emotiva.

Spiega Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di neuroscienze del Fatebenefratelli di Milano: «Queste due aree sono legate da messaggeri chimici, molecole chiamate Bdnf (Brain-derived neurotrophic factor), note per essere implicate nei disturbi d’ansia». Secondo Bo Li, le Bdnf potrebbero diventare presto il bersaglio di nuovi farmaci per il trattamento di ansia e fobie.
E’ doveroso ricordare che la prima Bdnf a essere scoperta, negli anni 50, è il fattore di crescita neuronale (Ngf) grazie al quale Rita Levi Montalcini vinse il premio Nobel nel 1986.