Sarà un successo o un flop? Il futuro del cinema prevede l’introduzione di un “filmometro”, un algoritmo in grado di misurare il valore di una pellicola

Questo singolare sistema di misurazione, descritto sulla rivista dell’Accademia di scienze americane, analizza il numero di citazioni presenti sul web relative a un dato film, per determinarne il significato e il potenziale successo. L’algoritmo è opera di un team di ricerca Northwestern University di Evanston, coordinato da Luis Amaral ed è stato descritto sulla rivista dell’Accademia di scienze americane (Pnas) e collaudato su oltre 15.000 film inseriti nell’Internet Movie Database.

Il potere delle citazioni

Lo strumento di giudizio è stato ideato dopo aver confrontato le pellicole più citate su Internet e la lista di quelle selezionate per il registro dei film della Biblioteca nazionale degli Stati Uniti, l’elenco dei film di riconosciuto valore storico e culturale. Sotto state quindi vagliate le recensioni dei critici più accreditati e quelli del pubblico.
Ne è risultato che il numero di citazioni ottenute, in particolare nei 25 anni successivi all’uscita di un film, è un fattore determinante di discrimine per l’inserimento nel registro nazionale. Si tratta in fondo di un sistema molto simile a quello usato nel campo della ricerca scientifica, dove l’autorevolezza di una ricerca aumenta con il numero di citazioni che vi fanno riferimento.

Leggi anche:  Ancora un'estate: il film di Catherine Breillat che ha fatto parlare di sé

Il rischio dell’autocitazione

Un ruolo importantissimo è dunque quello svolto da Internet e dai social network, che si rivelano un efficace strumento di analisi.

Ma Edoardo Novelli, docente di Sociologia dei media all’Università Roma Tre, avverte: “L’uso, ad esempio, di Twitter per la cosiddetta ‘analisi dei sentimenti’, vagliando le associazioni positive o negative ad un argomento, o guardando i più citati o letti ad esempio su Google o Amazon può portare ad un fenomeno di autocitazione, per cui i primi o più visti sono quelli che escono primi nelle ricerche. I primi in classifica finiscono per rimanere i primi sempre, riducendo una fruizione libera e aperta e la ricerca della diversità. Sono dati validi dal punto di vista quantitativo, ma bisogna stare attenti a come li si usa”.