Sembra che la dislessia possa avere cause genetiche e a sostenerlo è uno studio italiano, che avrebbe scoperto il marcatore genetico che collega la dislessia alla diagnosi

La ricerca, i cui risultati sono stati pubblicati sul The Journal of Neuroscience, è stata condotta da un team dell‘Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche e dell’Università di Pisa, del San Raffaele di Milano e dell’Ircss Medea. E’ la prima volta che viene collegato un gene, il Dcdc2, con la vista e nello specifico con disturbi nella lettura.

Diagnosi tardiva

«Oggi la malattia viene diagnosticata solo quando si evidenzia un ritardo dell’apprendimento e vengono escluse altre cause. Questo rallenta a volte di anni ogni forma di intervento», ha spiegato Giudo Marco Cicchini, dell’ In-Cnr di Pisa.
«I pazienti riportavano correttamente la forma o l’orientamento di un oggetto, ma se forzati a indicare la direzione in cui si muovono alcuni stimoli tiravano a caso», spiega Maria Concetta Morrone dell’Università di Pisa. Il Dcdc2 appartiene ad una famiglia di geni collegati alla dislessia, che si sapeva già essere dovuta per il 20% dei dislessici a un’alterazione in DCDC2, però finora non si sapeva molto sul ruolo di questo gene.

Verso cure più efficaci

L’obiettivo della ricerca è arrivare ad individuare biomarker specifici e cure più efficaci soprattutto nella dislessia associata a mutazioni genetiche. Finora sono stati sviluppati diversi rimedi per supportare i dislessici, tra cui SuperMappe, il primo programma realizzato in Italia per costruire e usare mappe concettuali, cognitive e mentali. Da uno studio dell’Università di Padova risulta che anche i videogiochi d’azione possono migliorare la lettura di bambini affetti da dislessia, mentre recentemente sono state individuate le aree del cervello interessate dalla dislessia acquisita. Joseph Lo Turco, neuro scienziato presso l’Università del Connecticut che indaga lo sviluppo del cervello sostiene che “questo è il primo studio in cui viene individuato un marcatore genetico che distingue tra i dislessici con deficit nella percezione del movimento e quelli senza”.

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I risultati hanno messo in luce come i difetti nell’elaborazione del movimento siano legati ad un genotipo specifico, contribuendo alla grande variabilità delle soglie del deterioramento visivo.

“Grazie al loro lavoro – si legge nel comunicato dell’Università di Pisa – possiamo comprendere che un approccio multidisciplinare integrato alla dislessia è necessario per avere diagnosi e terapie sempre più specifiche e risolutive”.