Il dolore per la morte del proprio cane può provocare un attacco cardiaco

Che il dolore legato ad un lutto non riguardi solo la perdita dei congiunti umani ma anche quella dei nostri migliori amici a quattro zampe non è certo un fatto sorprendente. Ciò che però non si sapeva è che questo dolore, al pari di quello per la perdita dei propri cari, può portare a sviluppare un insieme di sintomi simili ad un attacco cardiaco: la cosiddetta sindrome da “cuore spezzato”.

Eventi drammatici ma anche felicità improvvisa

A dimostrarlo è il caso di una donna texana descritto dal New England Journal of Medicine: la 62enne si è svegliata una mattina pochi giorni dopo la morte del proprio cane accusando un forte dolore al petto e altri sintomi che facevano presagire un infarto. Dopo essersi recata al Texas Medical Center di Houston gli esami hanno escluso che ci fosse un attacco cardiaco in corso, ma i medici le hanno diagnosticato la ‘cardiomiopatia di Takotsubo’, sindrome potenzialmente fatale con sintomi simili a quelli di un infarto e che è scatenata da forti stress o da eventi drammatici come la morte del marito o di un figlio. Si tratta di una rara condizione che colpisce il cuore, descritta per la prima volta in Giappone nel 1990, una patologia che comporta la deformazione del ventricolo sinistro con sintomi analoghi a quelli di una sindrome coronarica acuta.

Ecco perché questa malattia è conosciuta più comunemente come “sindrome del cuore infranto” o “sindrome da crepacuore” e determina tassi di mortalità simili a quelli dell’infarto (5%). Tuttavia non sarebbero solo le emozioni negative a scatenare la sindrome, ma anche troppi stimoli positivi intensi, come gioia e felicità improvvise. La condizione colpisce sopratutto le donne in post-menopausa, anche senza la presenza di possibili rischi cardiaci.

Il cane è come un parente stretto

“A scatenare l’evento è stata la morte del mio Yorksire Terrier, Meha – racconta Joanie Simpson, la paziente, al Washington Post -. Ero inconsolabile, mi ha veramente colpito molto”.

Questo caso confermerebbe quindi i risultati di diversi studi secondo cui il rapporto con il proprio cane può essere paragonato sotto tutti gli aspetti a quello con un parente stretto. L’intesa con noi  è tale che sono in grado di distinguere i nostri stati d’animo dalle nostre espressioni del viso e sembra che possano capire il linguaggio umano: il loro cervello si sforza di interpretare quello che diciamo.

Secondo una ricerca pubblicata da poco su Veterinary Record, i proprietari di un cane o un gatto malato presentano gli stessi segni di stress di chi deve accudire un parente stretto, come un figlio. Alla luce di queste considerazioni, appare come del tutto legittimo il diritto recentemente accordato in Italia ad una lavoratrice di avere dei giorni di permesso retribuito a causa di un grave problema di salute del proprio cane.

Leggi anche:  Depurare il fegato dopo un'abbuffata: guida all'alimentazione