Evidenziate per la prima volta importanti caratteristiche delle cellule tumorali
Non è la prima volta che la ricerca individua un possibile tallone d’Achille del cancro: già nel 2016 uno studio dell’University College di Londra ha scoperto un punto debole nelle cellule tumorali, che le renderebbero facilmente eliminabili.
Ora è invece un team di ricerca guidato da Monica Bettencourt Dias, dell’Instituto Gulbenkian de Ciencia (Portogallo) a evidenziare alcune caratteristiche delle cellule cancerose, che potrebbero aiutare a sconfiggere la malattia: si tratta di piccole strutture o organelli che si trovano all’interno delle cellule, chiamati centrioli, il cui numero e la cui dimensione aumenta nelle forme più aggressive di cancro.
Il ruolo dei centrioli
I centrioli sono circa 100 volte più piccoli della sezione trasversale di un capello e vengono considerati la “mente” delle cellule, svolgendo un ruolo determinante nella moltiplicazione, nel movimento e nella comunicazione cellulare. Nelle cellule normali il loro numero e dimensione sono controllati, ma dalla loro scoperta è stato ipotizzato che un aumento anormale del numero di queste strutture possa essere determinante nello sviluppo del cancro.
Lo studio di Bettencourt-Dias ha rilevato l’incidenza delle anomalie dei centrioli nelle cellule tumorali umane, analizzando in modo approfondito un pannello di 60 linee tumorali umane provenienti da 9 diversi tessuti. I risultati rivelano che le cellule tumorali hanno spesso centrioli ‘extra’ e più lunghi, che sono assenti nelle cellule normali, soprattutto nei tumori del seno aggressivi (come il triplo negativo) o nel cancro del colon.
Inoltre, gli scienziati hanno scoperto che i centrioli più lunghi sono anche molto più attivi, il che interferisce nella divisione cellulare e potrebbe favorire la formazione del cancro.
“I nostri dati confermano che il numero e la dimensione in eccesso dei centrioli all’interno delle cellule sono associati a caratteristiche maligne. Questo si potrà sfruttare per classificare i tumori al fine di stabilire la prognosi e predire la risposta al trattamento”, dice Gaelle Marteil, un altro autore dello studio.