Non esistono prove che l’omeopatia funzioni davvero: è solo l’effetto placebo

Negli ultimi anni l’omeopatia è stata spesso al centro di numerosi dibattiti sulla sua reale efficacia, ma anche relativamente alla sua diffusione. La rivista Nature la colloca al nono posto tra le bufale scientifiche, mentre uno studio afferma che i rimedi omeopatici sarebbero utili quanto un placebo.

L’effetto placebo esiste davvero

E’ quanto conferma oggi la  Federazione degli Ordini dei Medici in una scheda informativa in cui si spiega che “diversi studi hanno evidenziato che nessuna patologia ottiene miglioramenti o guarigioni grazie ai rimedi omeopatici. Nella migliore delle ipotesi gli effetti sono simili a quelli ottenuti con sostanze inerti”.

“Sebbene vi siano pubblicazioni di vari studi, allo stato attuale non esistono prove scientifiche né plausibilità biologica che dimostrino la fondatezza delle teorie omeopatiche secondo i canoni classici della ricerca scientifica”, scrive il dottor Salvo Di Grazia, autore del documento.
Si definisce effetto placebo il potere curante di un farmaco in realtà privo di principi attivi specifici per la cura di una determinata malattia, che porta tuttavia al miglioramento delle condizioni del paziente.
Gli esperti sottolineano che “l’effetto placebo è conosciuto da tempo, ha una base neurofisiologica nota e funziona anche su animali e bambini, ma il suo utilizzo in terapia è eticamente discutibile e oggetto di dibattito”.
Eppure ci sono ancora molte persone che si affidano ai farmaci omeopatici per curare la propria salute, soprattutto negli Stati Uniti, dove ora l’agenzia garante della concorrenza ha reso obbligatoria la presenza di un’etichetta per indicare che nessun studio scientifico ha approvato l’efficacia del prodotto.

Perché l’omeopatia è ancora prescritta dai medici

Tuttavia nella scheda si legge che spesso sono proprio i medici a prescrivere i farmaci omeopatici. Qual è il motivo di questa scelta? “In Italia l’omeopatia può essere praticata solo da medici chirurghi abilitati alla professione. Questa norma non intende attribuire una base scientifica a questa pratica, ma solo garantire da una parte il diritto alla libertà di scelta terapeutica da parte del cittadino e dall’altro un uso integrativo e limitato alla cura di disturbi poco gravi e autolimitanti, evitando il rischio di ritardare una diagnosi più seria o che il paziente stesso sia sottratto a cure di provata efficacia”.

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