Enrico Nigiotti. Foto di Daniele Barraco

Enrico Nigiotti crede che “Nonno Hollywood” sia una canzone “Più importante di “L’amore è”, che ha dato il via a tutto”.

Quel “Credimi, credimi, credimi, credimi sempre”, infatti, gli ha aperto molte porte, come autore. Ma “Nonno Hollywood” è un pezzo di famiglia, un pezzo di cuore.

Hai sentito subito che era la canzone per Sanremo?

Io avevo pensato a “Bomba dopo Bomba”, che è nel disco “Cenerentola”. Poi è mancato mio nonno, e io ho scritto subito “Nonno Hollywood”, di getto, la sera stessa. Allora ho presentato questa. Ero in Veneto per lavoro, altrimenti sarei corso a casa subito. Solo, in hotel, ho buttato tutto fuori, strofa e ritornello: non sto un mese sul testo. Al Festival sono senza chitarra, una novità per me.

Come vorresti descrivere questa canzone?

Come una lettera a mio nonno, in cui gli parlo da uomo a uomo. C’è un rapporto maturo tra due persone, la visione di due generazioni differenti che non è critica ma piuttosto è una fotografia. Il testo contiene quella verità che è condivisibile, è una coperta che sta a tutti.

Com’era tuo nonno?

Un tipo ruspante, il classico livornese, sempre con la battuta pronta, che si faceva voler bene. Era un uomo molto forte, che mi ha insegnato a essere uomo a mia volta. Ho lavorato con lui in campagna, quando ancora non vivevo di musica.

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Come mai lo chiami “Nonno Hollywood”?

Sembra un nome scelto apposta, ma non è così. Mio nonno diceva che quando da giovane andava a ballare nei night si vestiva elegante e gli amici lo chiamano Hollywood. Non so se fosse vero (ride, nda).

Venerdì sera duetterai con Paolo Jannacci, jazzista figlio di Enzo.

Questa canzone è una cosa troppo mia per dividerla con un’altra voce, volevo qualcosa che servisse alla canzone. Mi piaceva l’idea di fare il pezzo come è nato, per renderlo ancora più intimo. Con Paolo diventa più jazzata, ed è un bellissimo valore aggiunto.