Ulrich Beck insegna sociologia alla London School of Economics. Nel Duemila, con il volume “La società del rischio”, si è imposto all’attenzione del pubblico diventando uno dei principali pensatori europei. Come membro del Gruppo Spinelli ha sempre avuto una posizione chiara circa la necessità di una vera unione politica per il rilancio dell’integrazione europea e di una nuova alleanza tra lavoratori e imprese per la crescita. Sarebbe bello se l’idea di famiglia fosse un modello di organizzazione e di governance. La baronessa Thatcher, primo ministro del Regno Unito dal 1979 al 1990, dichiarò che «governare un Paese era come essere a capo di una famiglia numerosa in cui ognuno è chiamato a fare la sua parte». Dalla politica al mondo del management, il concetto di famiglia è ambiguamente di attualità. La famiglia, però, non è solo un luogo di affetti, ma anche di scontro e competizione. Alla Intel, c’è un detto: «Peggio dello scontro, c’è solo la mancanza di scontro». C’è la famiglia patriarcale, nucleare, estesa, di fatto. La Rete propone un modello allargato di comunità, in cui non ci sono legami di sangue, ma affinità di gruppo. Dalle famiglie tradizionali si passa alle famiglie globali. Secondo Ulrich Beck (autore, insieme a Elisabeth Beck-Gernsheim, del libro “L’amore a distanza. Il caos globale degli affetti” – Editori Laterza) «insieme alle imprese e agli Stati transnazionali, come la UE emerge un modello di famiglia transnazionale». E con essa un nuovo interrogativo: riusciremo a trovare un equilibrio basato sulla collaborazione? Nel mondo 2.0, la persona più amata è spesso quella lontana e quella più distante sul piano affettivo è – invece – la più vicina nella realtà. Fra un po’ di tempo, qualche esperto ci parlerà di filiera corta anche per le relazioni e le risorse umane.

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