Rancore. Foto di Serena Clessi

Rancore è tornato al Festival di Sanremo dopo la partecipazione dello scorso anno al fianco di Daniele Silvestri. Questa volta lo fa ‘in proprio’, con “Eden”

Rancore è lo pseudonimo di Tarek Iurcich. L’anno scorso lo abbiamo visto al Festival di Sanremo con Daniele Silvestri, come co-autore del brano “Argento vivo”.

Quest’anno è tornato e sta lasciando il segno con “Eden”.

Tra l’anno scorso e quest’anno cos’è cambiato?

L’anno scorso avevo la sicurezza di esserci con Daniele Silvestri. Come la scorsa volta, anche quest’anno sento la canzone particolarmente mia, con un messaggio che è nato indipendentemente dal fatto che sia poi arrivato al Festival. “Eden” parla di scelte, la mela è un simbolo.

Qual è la scelta più importante che hai fatto?

La mia scelta è stato il rap, la cosa che ho studiato più di tutte. Credo che questa sia stata la scelta più importante che ho fatto, studiare la parola.

Qual è oggi la funzione del rap in Italia?

La prima funzione è far parlare mondi che sono divisi ma che possono comunicare. Le rime si fanno rompendo le parole, questo è il rap.

Un genere che non c’era al Festival di Sanremo, e invece adesso…

Sono enormemente soddisfatto di esserci, nel mio piccolo credo di aver portato qualcosa di rottura. Sono contento che il rap sia molto presente, abbiamo relativizzato i limiti e tra qualche anno forse succederà qualcos’altro che li sposterà ancora. È bello che il Festival sia così.

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Ti senti pressato dai nuovi trapper?

No, il rap di natura è estremamente versatile e ha tante sfaccettature. Il linguaggio è molto diverso, ma è il bello del rap: il fatto di essere così diverso è stimolante.