Infezioni farmaco-resistenti, creati due nuovi antibiotici super potenti

Perché il cosiddetto effetto placebo varia da persona a persona? Gli scienziati hanno scoperto che è il Dna di ciascuno ad influenzare la propensione a sperimentarlo

Quanto siamo disposti a credere che l’assunzione di un farmaco sia efficace, anche quando è privo di principi attivi? E’ sufficiente la convinzione per conferire ad una semplice pillola di zucchero il potere di guarirci?

La risposta è soggettiva, ovvero dipende dal nostro corredo genetico.

Questione di Dna

Quando ci sentiamo meglio per il solo fatto di aver preso compressa zuccherina, Ad affermarlo è un team di ricercatori del Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston, che hanno studiato a lungo la letteratura esistente sull’argomento. I risultati dello studio, pubblicato sulla rivista Trends in Molecular Medicine, indicano che alcuni geni sono specificatamente coinvolti nell’effetto placebo, agendo su alcuni canali di segnalazione nel cervello che mediano il fenomeno. Queste vie di segnalazione cerebrali si attivano soprattutto con determinate sostanze, come la dopamina, la serotonina, gli oppioidi, gli endocannabinoidi. Inoltre è già noto da tempo che l’effetto placebo, oltre a non essere esclusivo della specie umana, funziona anche al contrario, con l’effetto nocebo: la suggestione riguarda gli effetti collaterali del presunto farmaco. Ricordiamo che poco tempo fa l’Aifa aveva lanciato un allarme per un l’uso spesso scorretto dei farmaci, soprattutto gli antibiotici, spesso assunti senza prescrizione e senza reale necessità.

Leggi anche:  Regole d'oro per prolungare la vita: come aggiungere fino a 24 anni al tuo percorso di vita

Una scoperta utile per la medicina

Capire a priori la risposta a questo tipo di suggestione potrebbe aiutare a prevedere l’efficacia dei trattamenti, personalizzandoli in base al tipo di paziente, ma anche «raffinare le ricerche che usano l’effetto placebo per misurare l’efficacia di nuove molecole». Si potrebbero modificare i trial clinici, tenendo conto dell’eventuale propensione dei pazienti a trarre beneficio di qualunque sostanza, per il solo fatto di crederla realmente attiva.