Nelle foglie di una pianta comune in Giappone scoperta una molecola anti-invecchiamento

Il nuovo elisir di lunga vita viene dal paese del Sol Levante ed è stato scoperto dall’università austriaca di Graz, grazie a un team di ricercatori guidati da Frank Madeo.

La nuova molecola che rallenta l’invecchiamento è stata rinvenuta all’interno delle foglie di una pianta molto diffusa in Giappone, l’angelica keiskei; l’utilizzo di questo estratto in laboratorio ha effettivamente allungato la vita di lieviti, vermi, moscerini di circa il 20% e ha ridotto il declino cellulare associato all’età nelle cellule umane in coltura.

La molecola è stata sperimentata anche nei topi con problemi cardiaci, soggetti a riduzione del flusso sanguigno (ischemia miocardica prolungata), e il trattamento ha avuto un effetto di protezione dei tessuti.

Un flavonoide che rallenta l’invecchiamento

I ricercatori hanno analizzato le molecole antiossidanti presenti nelle foglie di questa pianta da fiore della famiglia delle carote, che veniva usata dalla medicina tradizionale asiatica per i suoi effetti benefici sull’organismo, scoprendo un flavonoide che rallenta il declino cellulare legato all’invecchiamento.

In particolare questa molecola attiva il meccanismo di riciclaggio cellulare scoperto dal biologo giapponese Yoshinori Ohsumi, che gli è valso il Nobel per la medicina del 2016.

Il meccanismo dell’autofagia

L’autofagia è un meccanismo di rimozione e degrado dei componenti cellulari danneggiati, come proteine e organelli, generando materia prima per creare nuove molecole.
Se questo meccanismo si inceppa, possono svilupparsi malattie molto comuni come infezioni, infiammazioni e tumori, così come altri disturbi legati all’invecchiamento, dovuti all’accumulo di molecole tossiche nella cellula.

Lo studio confermerebbe il ruolo dell’autofagia nella protezione delle cellule, aprendo la strada alla formulazione di nuove rivoluzionarie terapie anti-invecchiamento, nonostante secondo diversi studi le aspettative di vita nei prossimi decenni siano destinate ad abbassarsi.
Sono necessari però ulteriori approfondimenti per capire con sicurezza se questo approccio può funzionare anche per arrestare il declino correlato all’età negli esseri umani.

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